Di cosa si tratta
"Mi Chiamo Rachel Corrie" è il titolo di un testo teatrale curato da Alan Rickman tratto dai diari di Rachel Corrie.
Sapete chi è Rachel?
Rachel è una ragazza americana, di Olympia, Washington, che nel 2003 decise di unirsi all'ISM: International Solidarity Movement, movimento palestinese impegnato a resistere all’occupazione israeliana usando i metodi e i principi dell’azione-diretta non violenta.
Poco tempo dopo il suo arrivo a Gaza, Rachel venne brutalmente uccisa da un bulldozer israeliano mentre cercava di difendere la casa di un medico palestinese usando il suo corpo come uno scudo umano. La sua vita venne stroncata a soli 23 anni.
Sapete chi sono io?
Io sono Maria Laura e faccio l'attrice, mi sono diplomata all'Accademia D'Arte Drammatica Silvio D'Amico nel 2006 e da allora giro l'Italia in tournèe con due compagnie: Siciliateatro di Sebastiano Lo Monaco, e Teatro La Pergola di Gabriele Lavia.
Questo è il mio primo progetto indipendente, il primo in cui sarò in scena da sola, il primo che nasce da una mia idea e da un mio desiderio.
Sapete cosa vogliamo fare io e Rachel?
Vogliamo idealmente incontrarci sul palcoscenico per raccontare la sua storia: perché il conflitto israelo-palestinese è ancora di grande attualità, perché quel muro che lei aveva iniziato a veder costruire oggi si staglia alto e deciso per 730 km a rappresentare sempre piu’ l’impossibilità del dialogo tra due popolazioni, e perché ancora c’è bisogno di persone come lei, che abbiano il coraggio di toccare con mano la realtà, accompagnati dalla paura e dalla solitudine, ma presenti dove ce n’è bisogno, ognuno col suo modo.
Antonio Ligas (Sassari, 7 febbraio 1980) è un attore e regista sardo.
Ha cominciato a lavorare come attore a Torino, dove ha intrapreso i primi studi di recitazione con i registi Enrico Fasella e Anna Cuculo.
Dal 2004 si propone come regista mettendo in scena autori quali Shakespeare, Beckett, Genet e molti altri.
Si è laureato in Regia presso l'Accademia d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico” sotto la guida di alcuni importanti artisti italiani: Anna Marchesini, Sergio Rubini, Mario Ferrero, Lorenzo Salveti, Arturo Cirillo.
Dopo gli studi legati alla prosa, ha svolto uno stage come assistente alla regia d’Opera Lirica presso il Rossini Opera Festival (Pesaro) e uno stage presso L’Ente Concerti Marialisa de Carolis di Sassari.
Nel 2014 ha debuttato come regista d’Opera con l’Aida di Scafati in collaborazione con il Conservatorio di Napoli, l’Accademia di Belle Arti e l’Ente diritto allo studio della città partenopea.
Nel 2016 firma la regia de IL PROGRAMMA, atto unico di Davis Tagliaferro, prodotto dall’ Akròama T.L.S di Cagliari.
Antonio continua a collaborare anche come assistente per l’ Opera e la Prosa con diversi registi: Arturo Cirillo, Gabriele Lavia e attualmente con Alessio Pizzech.
PERCHE’ RACHEL CORRIE?
Il Rosso.
Se penso a Rachel Corrie il colore che mi viene in mente subito è il rosso: la sua camera dipinta con questo colore mi ricorda la casa che vorrei io, una casa in cui ogni stanza ha una parete rossa. Il rosso del fuoco che arde dentro, il rosso della sua ironia che le fa dire: “Il mio nome significa pecora, ma nella pancia ho un fuoco”.
E’ il fuoco che ci spinge a guardare sempre un metro più avanti, è il fuoco che ci fa sconfiggere la timidezza di fronte al giudizio degli altri, ed è sempre il rosso del fuoco che ci fa dire alla paura: “Va bene, vuoi stare con me? Non te ne vuoi andare? E allora ci andiamo insieme a vedere con i nostri occhi che cosa c’è all’altro estremo di tutte quelle tasse con cui finanziamo i nostri eserciti”.
Rachel è voluta andare a vedere con i suoi occhi la gente che subisce la politica estera del suo stato: gli Stati Uniti D’America.
Stato che non ha paura di criticare di fronte ai fatti che tocca con le sue mani, Stato che non manca di difendere se vi è qualcosa di buono. Uno Stato in cui vorrebbe sentirsi al sicuro. Perchè la prima regola della sua scuola elementare era : “Tutti devono sentirsi al sicuro”.
Mi sono chiesta : Che cosa faccio io per sentirmi al sicuro nel mio stato, con me stessa, nelle mie convinzioni?
Sono sempre stata pronta a criticare, a dire quanto il nostro Stato non mi faccia sentire al sicuro, quanto siamo nelle mani di persone che non vedono l’ora di abusare del loro potere, delle loro armi, ho criticato molto e ho molto propagandato contro tutto cio’che è “Stato”. E allo stesso tempo per anni mi sono detta che il teatro è rimasto uno dei pochi mezzi ancora davvero forti che possano fare riflettere e dare degli stimoli reali alle persone.
Oggi vorrei che questi due miei atteggiamenti trovassero finalmente un’integrazione...altrimenti rimarrò per sempre con l’idea di me stessa simile a quella di Rachel prima di partire per la Palestina:
“Non sono in grado di raffreddare le acque bollenti in Russia. Non posso essere Picasso. Non posso essere Gesù. Non sono in grado di salvare il pianeta con le mie sole mani.
Sono capace di lavare i piatti”.
Teatro come mezzo per raccontare una storia, quella di Rachel, che è storia di coraggio e di attenzione. Storia di paura e di affetti. Storia vera, di una ragazza che oggi avrebbe la mia età, ma che un bulldozer dell’esercito israeliano ha schiacciato brutalmente mentre cercava di difendere la casa di un medico palestinese nel 2003 a Gaza. E percio’ la sua vita si è fermata a 23 anni.
Io ne ho trentatrè e cerco come lei di mettere ordine nella mia vita attraverso la compilazione di “liste molto importanti”, con la paura che lei definisce coloratamente, di “finire in un parco pubblico, totalmente fuori di testa, a cantare Il barcarolo va controcorrente a un pubblico di tossici ciondolanti”.
Un ragazza piena di ironia e consapevolezza, con le idee confuse sul futuro, col desiderio profondo e taciuto che un genitore possa ancora dirti quale sia la strada da seguire...ma con la sensazione che ormai siamo solo noi le artefici del nostro destino.
Forse come Craig Corrie anche mio padre avrebbe voluto essere fiero della figlia di qualcun altro, e come Cindy Corrie, mia madre non avrebbe voluto altro che diventassi quella che sono diventata: scombinata, deviante, e troppo casinista.
Ecco perché a tredici anni dalla morte di Rachel penso che i suoi diari parlino ancora: non soltanto perché il conflitto israelo-palestinese è ancora di grande attualità, non soltanto perché quel muro che lei aveva iniziato a veder costruire oggi si staglia alto e deciso per 730 km a rappresentare sempre piu’ l’impossibilità del dialogo tra due popolazioni, ma perché ancora c’è bisogno di persone come lei, come Jenny, come Joe che abbiano il coraggio di toccare con mano la realtà, accompagnati dalla paura e dalla solitudine, ma presenti dove ce n’è bisogno, ognuno col suo modo.
Cara Rachel, non saresti felice di vedere oggi quanto la situazione non solo non sia cambiata, ma sia, per quanto difficile da credere, solo peggiorata.
Mi dispiace pensare a tutto ciò che avresti potuto fare per il popolo palestinese e non ti hanno permesso di fare. Oggi ci siamo noi, giovani molto capaci di rassegnarci, incapaci di scegliere dove vogliamo stare pur conoscendo bene la storia, e con poca voglia di lottare.
Io so quanto il conflitto israelo-palestinese non sia un conflitto equilibrato in quanto scontro tra un popolo quasi del tutto disarmato e la quarta potenza militare del mondo, eppure non riesco neanche a parole a difendere la loro causa.
Per questo oggi ti chiedo in prestito i tuoi diari, le tue paure e le tue conoscenze: per parlare anche io, col mio mezzo che è il teatro, a me stessa e a tutti noi, giovani del 2016, perché possiamo renderci conto della situazione privilegiata in cui viviamo, quella situazione che a te dava tanto disagio di fronte alla catastrofe che hai visto con i tuoi occhi.
Siamo simili io e te, non solo fisicamente con i nostri tratti spigolosi e le labbra sottili. Ci somigliamo perchè io come te vorrei avere terra nuda da rivoltare e rivoltare, per avere la sensazione di stare facendo davvero qualcosa con le mie mani, ringrazio il cielo che i miei fratelli abbiano scelto dei lavori con uno stipendio fisso e ballo con i calzini e le gonne attillate davanti allo specchio.
Perchè questo forse ci fa sentire vive, ci fa dare voce al corpo, ci fa vedere quello che siamo: donne che pensano di avere autocontrollo e poi perdono la testa di fronte agli ex fidanzati, donne che stanno facendo un percorso per imparare a non giudicare secondo le categorie di giusto o sbagliato. Donne che vogliono vedere con i propri occhi, e piangere di fronte all’alba più meravigliosa che abbiano mai visto, perché nonostante quella si sentono sempre alla ricerca...sempre alla ricerca…
“A me è permesso vedere il mare”.
Così ha detto Rachel Corrie dopo poche settimane in Palestina.
Quante volte queste parole sono risuonate nella mia voce di attrice grazie al personaggio di Marta, protagonista del Malinteso, di Albert Camus, parole di una donna incastrata nella sua vita, nelle sue relazioni, nei suoi doveri, che aveva un solo desiderio: quello di vedere il mare.
Non lo vedrà mai Marta il mare, rimarrà incastrata sempre più nello squallore di una vita non vissuta.
Rachel grazie al suo percorso seppur breve ha capito una cosa a cui tutti noi dovremmo arrivare: che se moriamo alle nove di questa sera o a novantasette anni deve interessare solo a una persona: a noi stessi.
Sapeva bene Rachel che se avesse deciso di tornare a casa non ci sarebbe stato niente di male, come le disse sua madre in una e-mail dolce e partecipe, ma come tutti gli esseri umani era riuscita a sentirsi a casa anche in mezzo alla confusione di coperte della casa di una famiglia palestinese guardando tutti insieme i cartoni animati sulla tv via cavo.
Tutti abbiamo bisogno di sentirci a casa da qualche parte, e Rachel ci era riuscita anche in una terra martoriata e distrutta, ma dove le persone hanno ancora voglia di salvare la loro umanità contro “l’incredibile orrore che c’è nelle loro vite e contro la presenza costante della morte”.
E noi, dove ci sentiamo a casa?
Questo vorrei che ci desse come spunto la messa in scena di questi diari.
Dove ci sentiamo di essere al nostro posto? Dove la vita e le esperienze ci stanno indicando di andare?
Vorrei riaprire quella ferita che ci faccia vedere quanto orrore siamo disposti ad accettare nel mondo.Vorrei che fossimo almeno un poco più consapevoli di quanto anche noi ne siamo partecipi. Vorrei che Rachel non venisse dimenticata, per cercare, ovunque sia, di addolcire il suo cuore che stava iniziando a mettere in dubbio la fiducia nella bontà della natura umana che aveva sempre avuto.